Il signor Trussardi Tomaso ci
scuserà, ma noi continuiamo a non capire la sua rivoluzione gastronomica:
parliamo del ristorante della maison, dove fino a due mesi fa regnava Roberto
Conti. Era un punto cardine della Milano fine dining fin dall’apertura con
Andrea Berton in cucina, quasi dieci anni addietro: si arrivò a due stelle
Michelin e lo chef ha sempre sostenuto che se fosse rimasto per un altro paio
di anni sarebbe arrivata perfino la terza. In effetti, il livello era davvero
altissimo.
Di recente la maison è stata ceduto ad un fondo di investimenti (QuattroR) e
come logica conseguenza ci furono dei cambiamenti anche per quello che riguarda
il ristorante. In una intervista tutta fanfare (e tutta in ginocchio, vabbè), Tomaso
raccontava della nuova filosofia del locale: “Basta cucina stellata, si
cambia, ci sarà una trattoria di lusso”, diceva alla giornalista che
batteva le mani felice.
Umilmente avevamo chiesto cosa fosse esattamente una trattoria di lusso e si infuriò
assai. Lo capiamo, forse abituato a domande e stampa tappetino, ma era una
domanda lecita e legittima.
A due mesi di distanza abbiamo capito cosa intendesse dire: il menù prevede la
cotoletta a 50 euro, il filetto a 45, piccione a 40 e merluzzo a 40. Tralasciando sui prezzi, l’offerta non pare allettante.
Ha senso tutto ciò? Pensavamo a qualcosa di sorprendente, piatti intriganti e coinvolgenti,
proposte da non poter dire di no, un cambio di rotta forte e frizzante,
vigoroso e clamoroso. E invece la montagna ha partorito un topolino. Forse
è presto, chi lo sa. Il nuovo chef, Paolo Begnini (arrivato da Bergamo, da La
Brughiera) si è insediato da poco, ma comunque il primo menù avrebbe dovuto
essere spumeggiante, si trattava del suo biglietto da visita.
Quello che fa un po’ specie è che in carta c’è anche il menu degustazione, che però appartiene a Roberto Conti, a Parma già da due mesi. A proposito: mai visto un menù presentato in una maniera più sciatta e superficiale, passate davanti al ristorante per vedere e credere. Un foglio word qualsiasi, la divisione dei piatti in “I pesci” e “Le carni”, errori di punteggiatura e anche di traduzione, per non dire della goffaggine di alcune situazioni, come per esempio informare la clientela italiana che la bistecca viene calcolata all’etto, mentre alla clientela straniera viene detto che si calcola al grammo. Noi abbiamo fatto la foto ma non intendiamo pubblicarla, sarebbe umiliante. Per la cronaca, non avevamo mai letto in vita nostra qualcosa come “I Pesci”: meschino davvero.
Poi piccola osservazione, la rana pescatrice si traduce monkfish, non monkeyfish, ammesso che la nostra parola potesse valere qualcosa. E poi “catalana style”, insomma, cosa sarebbe? Con lo stuolo di consulenti, manager food and beverage, ufficio stampa, pr e tutto il resto ci pare il minimo presentare un menù scritto correttamente.
Mancanza di stile, di passione: chi l’avrebbe mai detto, solo qualche mese addietro?
Si sta ripetendo, quasi alla
pari, la situazione del ristorante Armani di un anno addietro.
Facciamo ciao ciao con la manina alla stella Michelin, d’altronde al signor
Trussardi non interessa più, lo ha dichiarato lui stesso nella medesima
intervista in ginocchio.